Laputa – Il castello nel cielo
Ritornano gli articoli dedicati ai film dello Studio Ghibli firmati da Bai Jiali. La recensione contiene qualche spoiler, siete avvertiti!
Da quanto tempo non ci sentiamo!
Se avevate lasciato ogni speranza, ora sono ritornato. Riprenderò sia la serie dedicata ai caratteri cinesi, sia quella dello Studio Ghibli di cui, a parte un’introduzione, non avevo scritto proprio nulla. Poiché sono un po’ impegnato con l’inizio dell’Università (qualcuno abita a Bologna?) e i giorni in cui non studio ho molti altri impegni, la cadenza dei miei articoli sarà bisettimanale e non più settimanale. Questo per evitare di esaurire film e caratteri strani presto, e per curare decentemente gli articoli.
Dopo questa lunga pausa rimetto mano al computer (come se non l’avessi usato per cinque mesi di fila!) e inizio questa serie di articoli in cui vorrei spiegare il mio punto di vista sui film dello Studio Ghibli.
Perché? Beh, per me la grandezza dello Studio sta proprio nella varietà di film che ha prodotto, tutti diversi uno dall’altro. È vero, ci sono spesso dei temi ripetuti fino quasi all’ossessione, come il volo, la guerra e l’ecologia nei film di Miyazaki, anche una certa atmosfera che contraddistingue i film dello Studio, ma non è vero che siano tutti uguali.
Un “Kiki – consegne a domicilio” non ha niente in comune con “Una tomba per le lucciole” che, a sua volta, è completamente diverso da “La città incantata“. Come vedrete, non intendo affatto dire che tutti i film dello Studio siano dei capolavori, anzi, sono più severo a giudicare questi film, ho delle aspettative più alte.
Il sistema di votazione, un po’ strano, l’ho spiegato nel precedente articolo.
Bando alle ciance, passiamo subito a
Il Castello nel Cielo (天空の城ラピュタ – 1986)
Ho solo un rimpianto riguardo a questo film: non me lo sono potuto gustare al cinema! Quando è uscito infatti (nel 2012) è rimasto nelle sale per pochissimo tempo, non me ne sono neanche accorto! Mi spiace molto perché questo film ha un forte impatto visivo e rende meglio sul grande schermo.
Uno dei punti di forza del film è la trama: il minatore gallese (luogo di influenza del film) Pazu, vede una ragazza, Sheeta, che sembra venuta dal cielo. La sua caduta è stata però frenata dall’aeropietra, un minerale dalle proprietà miracolose appartenente alla famiglia della ragazza. Ed è proprio intorno all’aeropietra che ruota tutta la trama: questa pietra infatti non ha solo il potere di far volare le persone, è anche di valore inestimabile. Sembra collegata alla civiltà di Laputa, misteriosa città che si dice voli nei cieli.
Come primo film dello Studio Ghibli penso sia abbastanza rappresentativo della serie di film di Miyazaki, anche perché contiene molti degli elementi ricorrenti che contraddistinguono i suoi film: in particolare il tema del volo, che appare praticamente in ogni sua opera, anche solo marginalmente, e anche i due protagonisti, un bambino e una bambina. Il film narra appunto anche della loro crescita interiore, della loro maturazione. Maturazione che viene quasi resa visibile quando a Sheeta vengono tagliate le trecce a colpi di pistola.
Mi è piaciuta molto anche la scelta di non opporre un bene assoluto a un male assoluto, scelta che sarà presente in altri lavori dello Studio. Muska, per quanto sia un personaggio che mi è piaciuto molto (è forse uno dei cattivi Ghibli più inquietanti, cattivo e tranquillo allo stesso tempo!), non ha una vera e propria caratterizzazione: è cattivo e basta.
E i due protagonisti sono altrettanto impeccabilmente buoni, specialmente Sheeta che incarna la figura femminile idealizzata di Miyazaki: la rivedremo in molti altri lavori, anche se più caratterizzata.
Ma fra il bene e il male, rappresentati da questi personaggi, c’è comunque un’ampia zona di grigio: si tratta della divertentissima e simpaticissima brigata dei pirati del cielo, guidati dalla burbera Dola e da un ancora più brusco Nonnino: loro sono buoni solo perché conviene loro allearsi con i protagonisti, ma non tramano niente di più malvagio che saccheggiare tesori.
E poi, anche fra i cattivi veri e propri, c’è una divisione: Muska e pochi altri uomini infatti, sono a conoscenza della vera natura di Laputa e non si fanno scrupoli a uccidere tutti gli altri uomini del governo, il cui unico interesse era appropriarsi delle ricchezze nascoste nei sotterranei della città.
Fra i temi affrontati nel film c’è quello del volo come già detto, ma soprattutto l’impossibilità dell’uomo di potersi rendere indipendente dalla natura, ed è proprio questo che ha causato l’estinzione della stirpe di Laputa.
Dettagli tecnici
Il film aveva una qualità e una fluidità delle immagini pazzesca per l’epoca, ma ancora oggi possiamo trovare delle scene di grande impatto, prima fra tutte la distruzione di Laputa alla fine del film. A volte ci sono delle scene disegnate in maniera un po’ più rudimentale, ma nel complesso il film è un gioiello visivo.
Lo stile grafico è molto simile alle produzioni pre-Ghibli e agli anime degli anni ’70; un tocco di classe molto bello che lo caratterizza fortemente. Quando mio cugino mi ha visto guardare questo film mi ha chiesto: “ma questo l’ha fatto lo stesso che ha disegnava Heidi?”. Che dire, è proprio il segno che il tratto del maestro Miyazaki si riconosce a miglia e miglia di distanza!
Anche le musiche mi sono piaciute molto. In verità non sono molto presenti nel film, e ho apprezzato anche questo: le scene più concitate sono sottolineate da un drammatico silenzio, piuttosto che da un tema musicale. In generale però la colonna sonora, opera del grande Joe Hisaishi (久石譲), compositore di gran parte della colonne sonore dei film dello Studio, è molto orecchiabile, molto simile alle musiche di certi videogiochi di ruolo. Ma più di tutto mi è piaciuta la canzone in chiusura al film, ossia “Kimi wo nosete” (君をのせて), che rimarrà nelle orecchie (e nel cuore) di chiunque lo ascolti.
Il doppiaggio è in generale ben fatto, anche se non mi piace molto la voce giapponese di Pazu, anche se in Giappone i giovani personaggi maschi hanno tutti questo genere di voce! La voce italiana è gradevole, anche se invecchia un po’ il personaggio, facendolo sembrare più un ragazzo che un bambino.
In conclusione
Non mi sento soddisfatto da questa recensione: non sono infatti riuscito a spiegare bene quanto io ami questo film.
I bellissimi disegni, storia e morali semplici ma profonde e mai scontate, i personaggi dalla caratterizzazione indimenticabile fanno di quest’opera – a mio parere – uno dei gioielli dello Studio Ghibli. Lo consiglierei a chiunque voglia abbandonare per due orette la realtà per immergersi in un bellissimo sogno a celluloide… e non volerne uscire più!
Il mio voto all’opera è un bel 甲, il voto più alto.È lo stesso anche per voi? Mi piacerebbe saperlo, quindi vi invito a dire la vostra nei commenti!
Questo guest post è stato scritto da Bai Jiali.
La sua passione per la Cina è nata leggendo “Viaggio in Occidente”. Dopo aver approfondito la letteratura e la cultura di questo paese, ha deciso di dedicarsi allo studio del cinese.
Immagini:© Studio Ghibli
Lascia un commento