Alla scoperta dei caratteri cinesi – La semplificazione dei caratteri (prima parte)
Questo articolo fa parte della serie “Alla scoperta dei caratteri cinesi” (clicca sul link per l’indice tutti gli altri articoli della serie!)
Ciao a tutti e benvenuti a quella che potremmo chiamare la seconda stagione di questa serie sui caratteri cinesi.
Come avevo già scritto in conclusione all’ultimo articolo, avevo intenzione di finire la serie, anche se poi ci ho cambiato idea, pensando che ci fossero ancora molte cose interessanti di cui non avevamo ancora parlato, di cui sarebbe stato interessante avere qualche informazione in più.
Inizia così questo nuovo ciclo di articoli che, rispetto al primo, sarà più incentrato sul confronto fra gli usi che la lingua cinese e quella giapponese fanno dei vari caratteri. Più avanti si potrebbe anche tornare su articoli simili ai precedenti, anche se non ho ancora progetti chiari in proposito.
In questo gruppo di articoli vorrei parlarvi della semplificazione dei caratteri: molto spesso, negli articoli precedenti, mi era capitato di fare accenno alla questione della modifica dei caratteri cinesi in Cina, e anche alle forme Shinjitai e Kyūjitai della lingua giapponese. Molto probabilmente queste ultime le conoscerete già, ma non lo do per scontato, ed è comunque un argomento molto interessante da spiegare. Una volta capito il processo di semplificazione, verrà più facile capire come mai i caratteri sono come li vediamo nella loro forma attuale.
La prima cosa importante da prendere in considerazione è che la semplificazione dei caratteri non è affatto limitata all’epoca moderna.
Successivamente al periodo Shang (quello in cui si scriveva con incisioni su ossi e gusci di tartaruga), apparvero molte semplificazioni dei caratteri, specialmente quando nacque la scrittura a pennello su listarelle di bambù. Nel Periodo delle Primavere e degli Autunni (siamo circa nel 500 a.C.) molti dei caratteri hanno assunto forme simili a quelle che conosciamo adesso.
Ma fu solo con la standardizzazione Qin che i caratteri diventarono quelli che conosciamo adesso: furono infatti ideati i radicali, o meglio, erano già stati inventati, ma non erano mai stati classificati in modo scientifico e sistematico. Sotto i Qin invece, i caratteri vennero tutti classificati sotto un radicale, e questo portò a cambiarne la struttura e a creare false etimologie.
Un esempio: il carattere 青 (che voi studenti di giapponese conoscerete benissimo, ma che in cinese ora è abbastanza raro), non deriva affatto dalla combinazione dei radicali 月 e 生, come è listato nei dizionari dallo Shuowen Jiezi (说文解字), il primo dizionario, a oggi. Rappresentava invece una pianta che germogliava di fianco al pozzo, ed è da qui che nasce l’ambiguità blu-verde di questo carattere. In principio il carattere era un ideogramma (o un pittogramma), mentre dopo è diventato una combinazione di due radicali che non hanno nessun collegamento né semantico né fonetico con la parola 青.
Nei secoli successivi non si segnalarono significativi cambiamenti nella struttura dei caratteri, anche se ci furono sempre più semplificazioni per la scrittura non ufficiale, un po’ come le nostre abbreviazioni. Queste semplificazioni porteranno alla nascita dello Hiragana e del Katakana in Giappone. È solo nel 1949 che si ha una vera e propria rivoluzione nel mondo dei caratteri cinesi. Quando salì al potere il partito comunista, dando vita alla Repubblica Popolare Cinese, fra i tanti cambiamenti che furono messi in atto nel Paese (molti dei quali, ahimè, tutt’altro che positivi), ci fu anche la semplificazione dei caratteri cinesi.
Questo fatto fu giustificato dalla necessità di aumentare il tasso di alfabetizzazione della popolazione. I risultati però non supportano questa motivazione: a Taiwan l’alfabetizzazione è sempre stata più alta che in Cina, nonostante si usino i caratteri tradizionali (繁体字), e il Giappone ha un tasso di alfabetizzazione ancora maggiore.
Questa semplificazione fu di fatto una semplice ufficializzazione delle forme corsive che circolavano nei tempi precedenti. Non vi dico adesso il metodo con cui sono stati semplificati i caratteri, ma a questo sarà dedicato un altro articolo della serie.
Il mio primo professore di cinese ha trascorso la sua giovinezza in questo periodo, aveva appena fatto in tempo a imparare i caratteri tradizionali che ha dovuto studiarsi pure i semplificati (简体字). Che sfortuna! Mi spiace solo di non averlo conosciuto avendo una conoscenza come quella che ho adesso (cioè praticamente nulla… ma meno nulla di prima!). Mi sarebbe davvero piaciuto sapere che effetto possa aver fatto questo cambiamento nella società, specie se visto dagli occhi dei giovani, insieme a tutti gli altri cambiamenti epocali che si sono succeduti in quegli anni.
A questa serie di caratteri semplificati ne seguì un’altra, nel 1986 (二简字), ancora più estrema nella semplificazione dei caratteri. Questa, però, non fu approvata. Il suo principale motivo di fallimento fu quello di creare nuovi caratteri, anziché ufficializzare forme già esistite in passato, ma magari non in uso nella lingua formale.
Al giorno d’oggi, quindi, abbiamo i cinesi continentali che usano i caratteri semplificati, quelli di Taiwan che usano i tradizionali, e diverse comunità d’oltremare che usano l’uno o l’altro metodo, a seconda della provenienza.
E il Giappone? Beh, il Giappone ha reintrodotto l’uso dei Kanji dopo averli banditi per motivi nazionalistici, e nel 1946 ha compilato la Lista dei Kanji per l’uso quotidiano (当用漢字表), includendo le cosiddette Shinjitai (新字体), cioè nuove forme dei caratteri. Anche queste derivano da forme abbreviate informali. A differenza del cinese le forme vecchie non sono state abolite, e sono invece chiamate Kyūjitai (旧字体). Le semplificazioni non ufficiali, usate nella scrittura a mano, sono invece dette Ryakuji (略字), e non possono essere scritte al computer. In cinese, che io sappia, non esiste un caso simile, anche se esistono dei caratteri speciali, usati solo in dei dialetti (o lingue, come sarebbe più giusto dire) specifici.
Bene, per oggi abbiamo finito. Devo dire che questo è stato un articolo bello lungo, ma il tema della semplificazione dei caratteri non finisce qui: la prossima settimana (o quella dopo, dipende dal tempo che ho) parleremo dei metodi concreti con cui sono stati semplificati i caratteri cinesi, mentre in un articolo ancora successivo parleremo dei pro e dei contro di questa pratica.
Non mi resta che augurarvi un’ottima settimana, naturalmente sono sempre disposto a rispondere a delle eventuali domande.
Questo guest post è stato scritto da Bai Jiali.
La sua passione per la Cina è nata leggendo “Viaggio in Occidente”. Dopo aver approfondito la letteratura e la cultura di questo paese, ha deciso di dedicarsi allo studio del cinese.
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