Uchi e Soto nella cultura giapponese: come funziona?
Non è facile spiegare in un solo articolo ogni singolo aspetto della cultura giapponese. Per questo ho deciso di concentrarmi solo su uchi e soto, due concetti piuttosto importanti da sapere perché influenzano fortemente il linguaggio a seconda delle occasioni.
Uchi (内, dentro) indica il gruppo di cui una persona fa parte, mentre soto (外, fuori) sono tutte le persone esterne al proprio gruppo.
Detto così sembra molto semplice, in realtà i confini dentro-fuori non sono sempre ben marcati. Non è facile determinare con esattezza l’uno o l’altro, almeno per noi “gaijin” (外人, stranieri): a seconda delle circostanze i gruppi dentro e fuori possono cambiare. Vedremo qualche esempio in questo articolo.
Ma cosa si intende per “gruppo”?
L’esempio più classico di uchi è la famiglia, ma può essere considerato qualsiasi altro gruppo come il lavoro, la scuola, la comunità, gli amici, fino ad arrivare all’intera popolazione giapponese.
Ti sembra difficile considerare l’intera nazione come “uchi”? Pensa allora agli stranieri chi si trasferiscono in Giappone: in questo caso si è fuori dal gruppo, per questo si possono incontrare dei problemi a farsi accettare e diventare parte dell’uchi, della popolazione giapponese.
Uchi-Soto nella lingua giapponese
Quando il gruppo uchi si pone in confronto con uno esterno cambia il modo di parlare.
Prendendo l’esempio della famiglia, più semplice da capire, la prima cosa si nota sono i diversi termini da usare per riferirsi alla famiglia: i termini umili e quelli onorifici.
Quelli umili si utilizzano quando si parla ad un gruppo esterno della propria famiglia (esempio: mi riferisco a mia madre con 母・はは haha se parlo con una persona che non fa parte della mia famiglia, ovvero soto).
Quelli onorifici si usano per riferirsi alle persone esterne alla famiglia (esempio: se parlo della madre di una persona esterna mi riferirò con お母さん・おかあさん okaasan. Nota: si usa questo termine di rispetto anche per riferirsi a lei nella propria famiglia).
Anche il keigo (敬語), il linguaggio formale del giapponese, utilizza lo stesso sistema. Comprende sia il linguaggio umile (謙譲語・けんじょうご kenjougo, per abbassare di livello le proprie azioni) che quello di rispetto (尊敬語・そんけいご sonkeigo, per innalzare le azioni dell’interlocutore).
Per esempio un impiegato si può rivolgere ai suoi colleghi con un linguaggio più informale, mentre si rivolgerà con un linguaggio più rispettoso ai suoi superiori/capi o a persone di altri reparti. Evitando di citare dei verbi in keigo, l’impiegato in questione userà molto probabilmente gli onorifici -san e altri titoli con queste persone più importanti/al di fuori del proprio gruppo.
Mettiamo il caso che questo impiegato parla del proprio superiore con un’altra azienda o con un cliente: eviterà l’utilizzo dei suffissi onorifici e utilizzerà un linguaggio umile, anche se sta parlando di qualcuno di grado più alto rispetto a se stesso. Questo perché sia l’impiegato che il capo fanno parte dello stesso gruppo, l’impiegato agisce in nome dell’azienda, sminuendosi nei confronti di persone esterne. Bisogna essere umili nei confronti del soto quando si parla del proprio gruppo e parlare in modo onorifico nei confronti di persone fuori dal gruppo.
Hai visto come possono mutare i gruppi? Abbiamo visto che il gruppo uchi (quello dei colleghi) e soto (quello dei capi/altre sezioni dell’azienda) trasformarsi in un unico gruppo quando si è a contatto con un altro soto (clienti/altra azienda ecc).
All’incirca il sistema funziona in questo modo, ricordati però che non è necessario utilizzare un linguaggio onorifico in situazioni non formali. Per esempio se il capo e l’impiegato non sono sul lavoro, l’impiegato si rivolgerà sempre in maniera educata ma non con un linguaggio onorifico nei confronti del capo.
In generale con chi è di grado più alto bisogna portare rispetto e ricorrere alla forma masu o onorifica, anche se sono persone che fanno parte dello stesso gruppo. Per grado più alto non sempre si intende il fatto di detenere una posizione importante, si intende anche l’anzianità, non solo come età ma anche per il fatto di far parte dell’azienda/del gruppo da più tempo.
I verbi くれる (kureru) e あげる (ageru)
È essenziale conoscere i concetti di uchi e soto per comprendere la differenza tra くれる (kureru) e あげる (ageru), due verbi che significano entrambi “dare.
くれる (kureru) si usa non solo per qualcosa che viene dato al parlante stesso (insomma “io”), ma anche a qualcosa dato a uchi, ovvero un esterno che dà qualcosa al gruppo di appartenenza di chi parla. In pratica si considera “uchi” come un’unica entità: è come se qualcuno avesse dato qualcosa a me, anche se è un’altra persona che ha ricevuto un favore e/o qualcosa.
あげる (ageru) invece si usa per tutti gli altri casi di dare, sia tra persone esterne, sia tra persone interne al gruppo. Tranne se qualcuno dà qualcosa al parlante, in tal caso si usa sempre くれる kureru.
Non so se è chiaro quello che ho spiegato, non è così facile da capire, così come determinare esattamente se si è uchi o soto a seconda dei casi. Il concetto di uchi e di soto si può applicare anche all’honne e il tatemae: con persone del mio gruppo potrò dire quello che penso (honne), al contrario eviterò di dire qualcosa direttamente (tatemae).
Spero di aver chiarito le idee su questi due aspetti, il mio scopo era di mostrare come la cultura influenza la lingua e come conoscere la cultura aiuti a capire meglio il funzionamento del giapponese.
Immagini: Yoshikazu Takada, Lang Cafe – Japanese, Wikipedia
5 commenti
20 Marzo 2013
Mamma mia… interessantissimo ma davvero difficile! Certo che in Giappone il rilievo sociale, come l’appartenere o meno a un gruppo, sono aspetti importantissimi della società. Se da un lato può sembrare oppressivo e straniante, dall’altro arricchisce il linguaggio di tantissime sfumature che la nostra lingua nemmeno contempla.
21 Marzo 2013
@anega tanega: In realtà anche nella nostra lingua esiste una cosa simile, solo che è meno marcata. Già dare del “Lei” se non addirittura del “Voi” è qualcosa che da importanza o crea distacco tra le persone.
Ormai noi abbiamo un po’ perso queste “cortesie” dato che anche il postino si presenta alla porta dandoti del “tu” manco fossimo suoi parenti (mi è capitato giusto oggi)
Poi che i giapponesi abbiano una visione diversa di questi tipi di discorsi è fuori discussione :D
Ovviamente questo è solo un mio pensiero, liberi di pensarla diversamente xD
25 Febbraio 2021
Vorrei sapere chi è l’autore del testo per poterlo eventualmente citare nella mia tesi. Grazie
25 Febbraio 2021
L’ho scritto io l’articolo ma, a dirla tutta, non è un articolo che citerei in una tesi. Sul tema si possono trovare libri e/o articoli decisamente più approfonditi del mio, che necessiterebbe di una svecchiata!
25 Febbraio 2021
Grazie mille!
Concordo, infatti il mio “eventualmente” stava proprio ad intendere quello. In ogni caso lo citerei con un “Cfr.”, andando a sviluppare l’argomento diversamente.